Attendere chi e come, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». (Mc 1, 1-8).
6 dicembre 2020. In un mondo che ha tante parole e tanti mezzi per diffonderle, l’inizio del Vangelo di Marco è quasi uno scandalo per quanto è scarno, asciutto, essenziale. Di per sé è un grande monito al nostro parlare e parlare. Poche parole per riprendere una tradizione ebraica millenaria: il profeta è inviato per preparare a eventi salvifici, per raddrizzare sentieri, per riportare la gente a Dio. Non parla di sé; non fa pubblicità al proprio orto; non è autoreferenziale; non ha paura di vuole umiliarsi, anzi desidera abbassarsi perché sia chiaro che: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”.
Il profeta prepara una visita. La visita per eccellenza: quella del Signore Gesù. Il rischio di essere retorici o moralistici, in materia, è molto alto. Preparare la visita del Signore è un’opera difficile. Qualche volta ci illudiamo che bastano due preghiere e due piccoli sacrifici per essere pronti. E’ giusto così? Non penso proprio.
Attendere è un lavoro in profondità. E’ una sorta di liberazione da se stesso: bisogna spostare il cuore e la mente, gli occhi e le braccia verso un altro, più grande e più importante di me, nonostante le distrazioni piccole e grandi che abbiamo. Sono queste distrazioni a spostare lo sguardo interiore dall’attesa del Signore all’attesa di cose, progetti, situazioni, incontri. Non parlo di cose negative - quelle si chiamiamo tentazioni - parlo, invece, di cose positive, che, però, ci prendono così tanto da dimenticare il Signore, da metterlo in secondo piano. Pensiamo spesso e tanto alla famiglia, alle nostre relazioni, al lavoro, all’impegno nel mondo, a quando sarà passata la pandemia e cosi via. Chiediamoci: come si sarebbe comportato il Battista tra queste distrazioni positive, lui che avevo lo sguardo fisso su “Colui che viene dopo di me ed è più forte di me”?
L’ha detto cosi bene don Primo Mazzolari sintetizzando la parabola della crescita nella fede: “La vita di ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno. In un primo momento pare che ci manchi qualcosa. Più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno: e lo attendiamo”.
Rocco D'Ambrosio