Povertà, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». (Mc 10. 17-30).
Un certo disagio può cogliere nel parlare di povertà. Specie quando poveri non si è. Anche se non si è ricchi, comunque si sta molto meglio di tanti poveri, di tutte le latitudini. Un po’ ci si sente come il tale del Vangelo odierno: “a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”. Possediamo molti beni, pur non essendo ricchi e il brano evangelico suona ancora più difficile ed esigente: Gesù è molto chiaro, chi possiede ricchezze non può entrare nel Regno dei Cieli. E la forza di queste parole quasi istintivamente ci fa dire come i discepoli: “E chi può essere salvato?”. “Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio»”. Questa parola del Signore da serenità e forza. Lui non è il ragioniere dei nostri beni mobili e immobili; è solo colui che ci ama e non vuole che diventiamo schiavi di beni e denaro. Non vuole che ciò che critichiamo nei vari ricchi, banchieri, imprenditori, politici, manager, calciatori e attori si realizza anche nel poco delle nostre proprietà. Non a caso Gesù ricorda che “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti” (Lc 16, 10). Allora la questione povertà va posta, credo, in termini di fedeltà a Dio e libertà da ogni bene. Sempre e comunque: essere e mantenersi poveri vuol dire non volgere le spalle al Signore e non attaccarsi a denaro e affini.
E poi i poveri, quelli veri, quelli più di noi. Quelli a cui bisogna donare, donare, donare: senza se, senza ma. Troveremo mille scuse per non farlo se siamo infedeli a Dio e schiavi di beni, avidi, invidiosi, avari e quant’altro. Abbiamo sempre bisogno di essere scossi in materia, per non volgere le spalle come il tale del Vangelo. Grazie a Dio non mancano mai quelli che, come diceva l’Abbè Pierre, sono capaci di far insorgere la bontà e di aprire il cuore a chi ha meno. Eppure ciò non basta. L’esistenza di profeti e testimoni non può essere mai la scusa per non affrontare il problema della povertà e non cambiare stili di vita personali, comunitari e politici. Infatti chi oggi si oppone all’impegno per i poveri, molto spesso appartiene a quelli che lottano, ad ogni piè sospinto, per aumentare potere e profitti. Si pensi ai politici e ai loro privilegi di casta, ma si pensi anche a diversi leader di comunità religiose e non, tutti intenti a difendere il proprio (grande) orticello, senza nessun interesse per chi di orti non ne ha affatto.
Ma ci vuole un oblio della coscienza per rimanere tranquilli davanti a tante povertà: l’esistenza dei poveri, secondo l’Abbe Pierre, è una provocazione per chi ha e non fa nulla. I poveri esistono, sono a noi prossimi, sono e saranno sempre con noi, ci ricorda Gesù. E con la crisi economica il loro numero aumenta giorno dopo giorno. E sono persone come noi e spesso migliori di noi, sono lavavetri, extracomunitari, disoccupati, lavoratori sfruttati, prostitute, barboni, senzatetto, nomadi, carcerati, analfabeti, ammalati gravi, bambini violentati, disagiati psichici, mendicanti, emarginati e via discorrendo. Il problema è che, davanti a loro, non riusciamo ad essere come il nostro Abbè: “In quello che sono stato, niente è stato previsto metodicamente o è stato frutto di una riflessione. Si è trattato semplicemente di non tirarmi indietro di fronte a circostanze e avvenimenti, a richieste di aiuto da parte della gente. Avrei potuto, come se fosse stato normale, dire a me stesso: non sono affari miei, ci devono pensare i servizi sociali. Ma istintivamente sono corso in aiuto di questi esseri umani”.
Rocco D'Ambrosio