Il falso dilemma tra azione e contemplazione, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta»
(Lc 10, 38-42 – XVI/C).

Scriveva Raissa Maritain che la contemplazione è “come una pompa aspirante e premente che attira l’acqua, e la immette nei canali”. Il brano del vangelo odierno mostra una sorella, Maria, che ha compreso molto bene il valore della contemplazione e di sua sorella, Marta, che sembra distratta e concentrata su altro. La prima attira l’acqua del Signore, la seconda l’acqua reale, di cui abbiamo lo stesso bisogno. E’ la stessa logica del cibo che perisce e di quello per la vita eterna (Gv 10), ambedue necessari alla nostra esistenza.

Di mezzo, tra le due acque o i due cibi, c’è il rimprovero di Gesù: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose”. Le critiche sulla nostra società che privilegia l’avere all’essere, o il fare al contemplare sono fin troppo ovvie e scontate, qualche volta anche retoriche. Lasciamo stare questo tipo di critiche e concentriamoci sulle persone, ovvero su noi stessi. Marta non era nel torto, anzi la sua era un’accoglienza concreta e operosa. Ma forse era troppo: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose”, dice Gesù. Credo che il rimprovero fosse rivolto a quel affannarsi e agitarsi per molte cose. Credo che Marta, come un po’ tutti noi, abbia un problema di misura. Quello della misura non è solo un tema della Grecia classica, ma anche biblico. Affannarsi e agitarsi, nella vita, credo sia abbastanza comune. Ma dobbiamo darci una misura. Altrimenti l’acqua o cibo terreni diventano più importanti di quelli celesti, di quelli che “non ci saranno tolti”.

Il brano evangelico ci aiuta a ridefinire la misura, quasi a ricalibrarla tenendo fede ad alcuni principi etici. Anche se li conosciamo bene, elencarli aiuta a compiere una verifica onesta ed efficace. L’ospitalità è sacra; tante cose sono sacre nella vita, ma lo sono solo e se orientate alle persone, prima di tutto ai prossimi, amici, parenti, colleghi e così via. Le persone prima di tutto, altrimenti stiamo battendo l’aria e dicendo tante di quelle chiacchiere per giustificare il nostro affannarci e agitarci, rincorrendo la super efficienza sempre e comunque, magari svolgendo più funzioni contemporaneamente (multitasking) e via discorrendo.

Una curiosità esegetica. Mi spiega l’amico don Nicola Charulli: Il versetto 40 parla di Marta come “distolta per i molti servizi”. Il termine usato in greco è “periespâto”, che viene da “perispàomai”, composto da “perì” (“intorno”, “in giro”) e “spào” (“tirare”, “strappare”; è la stessa radice di “spasmo”, “spasmodico” ecc.). Quindi letteralmente dovrebbe suonare cosi Marta era “tirata di qua e di là”. Come spesso siamo noi tutti.

Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta, dice Gesù. E qual’è? Verrebbe spontaneo chiedere a nostro Signore. E’ l’ascoltarlo lasciando perdere tutto, compresa Marta, le faccende domestiche, il contesto e via dicendo? Sembrerebbe di si. Infatti leggiamo: “Marta aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi”. Eppure sono convinto che una lettura superficiale di questo passo, come una risposta frettolosa alla nostra domanda ci porterebbe a una sciocca contrapposizione: Maria rappresenta le contemplative, che stanno dalla parte migliore che non si perde mai; Marta rappresenta le attive, a rischio di affanno e agitazione continui. E’ così troppo semplice? 

Nella vita abbiamo bisogno di Marta come di Maria. Ma la loro opera ha misure diverse. Quella di Maria è la maggiore e quindi viene prima di tutto, sopra tutto e dopo tutto. Ma anche l’opera di Marta è necessaria, altrimenti non mangiamo, né abbiamo cura di noi stessi e degli altri e così via. Del resto anche chi vive la clausura e contemplazione più esigenti svolge… anche l’opera di Marta! Azione e contemplazione non si oppongono ma si completano. Il motivo lo spiega ancora Raissa Maritain: “Occorre che esistano delle anime unicamente occupate a bere a questa sorgente che viene dall’alto (contemplazione). Per mezzo loro, poi, l’acqua viva dell’amore ed il suo gusto divino arrivano a coloro la cui vocazione comporta maggiore attività. La contemplazione è come una pompa aspirante e premente che attira l’acqua, e la immette nei canali. Se la contemplazione cessasse interamente, i cuori sarebbero presto disseccati”.

Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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