pensando la compassione, di Selene Coccia
Il verbo della compassione in greco si esprime con il termine splanchnìzomai (splagcnizomai) dove le splanchna sono le viscere che comprendono anche il cuore, l’interiorità più profonda della persona; con le viscere si esprimono i propri sentimenti, la compassione, l’amore e la misericordia ma anche la durezza, l’aridità, la rigidità, l’incapacità di amare.
La vera compassione non è un sentimento, ma un’azione che produce la cura per l’altro: il Samaritano si avvicina al moribondo, disinfetta e fascia le sue ferite, lo carica sulla sua cavalcatura, lo porta in albergo e lo cura, consegna all’albergatore due denari e garantisce lui nel caso vi fossero altre spese.
La vera compassione si compromette per il bene ed è vincente, nonostante la perdita di tempo e di denaro cui si va incontro. E se all’inizio il prossimo sembra essere il moribondo, ponendo la domanda: “Chi di questi tre (il sacerdote, il levita, il samaritano) ritieni che sia stato prossimo di colui che è stato catturato dai banditi”? - rovescia la situazione: il prossimo non è più il moribondo ma chi ha avuto compassione di lui. Lo stesso avviene nella parabola del padre misericordioso: senza compassione è impossibile correre incontro al figlio, gettarsi al suo collo e reintegrarlo nella dignità perduta. A Dio l’umanità non manca, ma è eccessiva! Se la bontà è una qualità del carattere, la misericordia è una dimensione che matura nell’intimo e si concretizza in gesti per il prossimo. La conversione più profonda che il padre si aspetta è non del minore, che è tornato a casa soltanto perché altrimenti sarebbe morto di fame, ma del maggiore, incapace di riconoscere suo padre e suo fratello. Prima di una “ Chiesa in uscita”, c’è un padre in uscita che non attende i figli al centro del salotto, ma corre incontro al minore e raggiunge il maggiore per sommergerlo con la sua misericordia. Ciò che ridona la vita a chi è morto è la (com)passione del padre capace di far nascere la vita dove c’è morte. Ed è significativo come a servizio della misericordia sono i servi cui non è concessa alcuna obiezione per una compassione eccessiva del padre che li coinvolge per una misericordia condivisa. Quella del padre misericordioso è una parabola aperta che consegna a noi tutti la responsabilità delle nostre scelte: se instaurare relazioni all’insegna del diritto o della giustizia distributiva o intraprendere il sentiero tortuoso della grazia e della misericordia. Una verità senza misericordia diventa punizione, una misericordia senza verità diventa sentimentalismo.
Ma qual è il contrario della misericordia? La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro lo spiega bene: Lazzaro giace vestito di piaghe dinanzi al portone della casa del ricco e questi lo ignora. Il ricco, vestito da re, è destinato all’anonimato, il povero ha un nome ed è ricordato per l’eternità. Nella vita terrena il ricco festeggia ogni giorno, mentre a Lazzaro non sono dati neanche gli avanzi della sua tavola; nell’oltretomba Lazzaro è consolato, mentre il ricco non ha un goccio d’acqua per bagnarsi la lingua. Durante il tempo il ricco non ha colmato la fame di Lazzaro; nell’eternità, Abramo non può esaudire le tre richieste del ricco: Lazzaro non può alleviare i tormenti del ricco neanche con un dito (c’è l’abisso che li separa); non può essere rimandato nel mondo per testimoniare che cosa succede nell’aldilà; e neanche la risurrezione di un morto può convertire i cinque fratelli del ricco. È l’unico caso dove la supplica non viene esaudita, perché la situazione è diventata irreparabile. Come è concepibile una situazione irreparabile per l’infinita misericordia di Dio? Quando il ricco è negli inferi e vede Lazzaro nel seno di Abramo lo riconosce e lo chiama due volte per nome. Così si autocondanna con le sue stesse parole: conosceva Lazzaro durante la vita terrena, ma lo aveva sempre ignorato; il ricco è costretto a vedere in un presente senza fine Lazzaro che non ha visto nel passato. La situazione è insanabile perché la compassione è possibile fino a quando c’è un povero che giace piagato davanti al portone di un ricco; dopo non ha più senso ed è di fatto impossibile: quando manca la misericordia per il prossimo non c’è spazio neanche per quella di Dio. Non basta la risurrezione di un morto per convertire gli altri fratelli del ricco, poiché sono i poveri del mondo la via per la salvezza o la condanna per qualsiasi ricco. Quali sono i rischi capitali che corriamo? Il primo è che siamo portati a credere che poiché la misericordia di Dio è infinita, si sarà comunque salvati, anche se nel nome di Dio si giudica e si condanna il prossimo. Il secondo: la misericordia viaggia sempre a tre dimensioni e non è mai unidirezionale – io da solo - , né bidirezionale - io e Dio – ma io , te e Dio - io, l’altro e Dio .
[architetto, Lucera, Foggia]
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