Si può fare tanto, di Ennio Triggiani
E' sempre più difficile, nel nostro amato-odiato Paese, seguire le vicende politiche e ancor meno riuscirci ad appassionarsene.
È significativo che da nobile espressione dell’attività umana il termine politica sia normalmente identificata come malaffare, indebito arricchimento, compromesso deleterio, coacervo di interessi del tutto individuali.
Ecco perché una dichiarazione d’amore per la politica, oggi, presuppone un’innata passione e una buona dose di coraggio; eppure ad essa, coltivandola in mille forme, non si deve rinunciare essendo comunque indispensabile in vista dell’aspirazione al buon governo ed al bene comune da coniugare prioritariamente con due qualità purtroppo in via di repentina estinzione quali cultura e onestà.
Le pietose condizioni in cui versa la povera Italia sono, infatti, legate alla triste circostanza che essa ormai è individuata non più quale il Paese privilegiato del sole e delle ricchezze artistiche ma invece dell’individualismo esasperato, della corruzione eretta a sistema ed aggravata da una diffusa evasione fiscale, della furbizia assurta a virtù e, in sintesi, della mancanza di senso dello Stato, dai più percepito come qualcosa di estraneo se non di antagonista.
Si comprende allora l’ormai generalizzata sfiducia verso gli strumenti principali, in ogni democrazia, della canalizzazione del consenso e cioè i partiti, indipendentemente dalla loro connotazione ideale. È fuor di dubbio che essi si sono radicalmente trasformati rispetto ai luoghi in cui si praticavano lo studio individuale e collettivo, la gavetta nei luoghi di lavoro e di socializzazione ed anche, per alcuni, un cursus honorum progressivo e monitorato. Oggi sono il più delle volte diventati strumenti di mera canalizzazione del potere e del denaro in cui una ristretta cerchia di personaggi opera per collezionare incarichi e lasciare qualche briciola del fiero pasto a fedeli ed ossequiosi yes men/women.
Aristotele scrisse che tre requisiti devono avere quelli che si apprestano a coprire le magistrature supreme, quali oggi il capo dello Stato, i legislatori, i governanti e i magistrati. Il primo è il rispetto della Costituzione in vigore, poi estrema capacità nei doveri della carica, terzo avere virtù e giustizia. Se ci guardiamo attorno, ahimè, non sempre, per usare un eufemismo, il possesso di questi requisiti è rintracciabile in chi ricopre le suddette cariche. La perdita di credibilità delle istituzioni è, però, gravissima in quanto i cittadini hanno, invece, bisogno di credere nella politica, essendo sempre dietro l’angolo il grave rischio di andar dietro al primo demagogo capace di intercettare la crescente e comprensibile insoddisfazione.
L’aspetto ulteriormente singolare legato a un quadro a tinte così fosche è che, comunque, ci proclamiamo un Paese cattolico anzi quello che per eccellenza potrebbe definirsi tale: ma poi, lo siamo davvero o solo dal punto di vista dell’anagrafe battesimale considerate la scarsa incidenza prodotta sui nostri comportamenti quotidiani?
È solo sulla base del recupero dei valori fondamentali della persona che si può porre anche l’annosa questione del riscatto economicosociale del Mezzogiorno, passando attraverso la valorizzazione delle risorse artistiche, economiche e culturali delle nostre terre; e ragionare di un suo riscatto da collocare nell’irrinunciabile strategia diretta a costruire un’Europa sempre più integrata socialmente e politicamente.
Forse è il momento giusto per riuscire a cogliere la voglia, che pur è molto diffusa fra i cittadini e sottolineata dal crescente astensionismo, di riappropriarsi della politica ma con strumenti e modalità nuove nonché sane. Nostro dovere è soprattutto far nascere o rinnovare l’amore per la politica, quella vera, soprattutto fra i giovani. Dico sempre ai miei studenti che essi hanno il dovere istituzionale di rinnovare la società portando l’entusiasmo, la passione e la freschezza delle idee che la loro felice età dovrebbe elargire a piene mani. Ed è l’unica maniera con cui, dovendo purtroppo farsi carico dei furti perpetrati nei loro confronti, essi possono riprendersi in mano la vita.
Ma, per far questo, è necessario avere una bussola che indichi permanentemente la direzione giusta, quella segnalata autorevolmente del Presidente della Repubblica forse più amato, Sandro Pertini: “Ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vogliono due qualità a mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio. E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c’è qualche scandalo. Se c’è qualcuno che dà scandalo; se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!”. Ma non va trascurata l’esigenza di risvegliare anche nei diversamente giovani la voglia di partecipare, di non rinchiudersi e isolarsi nella stanca disillusione del non c’è più niente da fare.
Per queste ragioni è da considerare un piccolo grande miracolo il percorso culturale e formativo svolto dall’associazione Cercasi un Fine attraverso i cento numeri del suo giornale, il suo sito web e le sue scuole, tutti luoghi nei quali ci si confronta, si insegna e si impara, si matura e nei quali vige il metodo dell’apertura alle idee di tutti, indispensabile vaccino per sconfiggere le purtroppo risorgenti malattie dell’integralismo e del fondamentalismo.
Siamo di fronte ad un vero patrimonio collettivo dell’umanità, pugliese e non solo.
Si tratta di un esempio d’intelligente passione e generosa volontà con cui don Rocco D’Ambrosio e, anzitutto, i suoi più stretti collaboratori hanno dimostrato il tanto che si può fare, pur con scarse risorse, al fine di costruire la buona società.
Ennio Triggiani
[docente università Aldo Moro, socio e docente CuF, Bari]