Rendere conto del proprio potere, di Rocco D'Ambrosio
Il Vangelo odierno: In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 33-37).
25 novembre 2018. La parola del momento è “sovranismo”. E’ in coppia con un’altra malattia politica: populismo. Non so quanti cristiani abbiano mai pensato che il Vangelo è anche annuncio per coloro che vogliono pensare e fare la politica. Lo è, in particolare, questo brano: il colloquio tra Gesù e Pilato, che è una fonte inesauribile per coloro che vogliono capire un po’ più di potere e rischi annessi e connessi. Meditarci su, nella domenica in cui celebriamo la festa di Cristo Re è un ottimo modo per togliere la festa da un ritualismo vuoto e fuori luogo. Certo Gesù è re, lo è e lo resterà sempre, fino alla fine dei tempi e oltre. Tuttavia questo re non è fuori del tempo, è qui tra noi e ha molto da insegnare ai poteri e ai cittadini di questo mondo.
Secondo l’enciclopedia della Treccani si tratterebbe di una "posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”, come, per esempio, quella europea. In salsa nostrana significa: abbiamo conquistato il potere, facciamo quello che ci pare e piace, senza rispetto della Costituzione, degli accordi europei, delle regole comunitarie e del buon senso, persino quelle della buona educazione e del rispetto di tutti e delle loro idee.
A loro confronto Pilato era un gran signore e forse qualche cosa la voleva capire, mentre interrogava Gesù. I sovranisti di casa nostra, e non solo, sono cosi arroganti e spavaldi che non hanno niente da imparare, anzi il Padre Eterno dovrebbe andare a lezione da loro! Un esempio: parlano di dialogo e intendono che loro andranno avanti per la loro strada, magari si abbasseranno a spiegare, o meglio propagandare, la loro linea politica. Ovviamente sempre per il bene del (presunto) popolo.
Ma cose insegna Gesù in questo brano, ovviamente a chi vuole ascoltare, meditare, fare discernimento e cambiare vita? Insegna che è l’unico Re e Signore, perché Figlio di Dio Creatore, inviato per salvarci. Insegna che non va esaltato o adorato nessun potere, ma solo e solamente LUi. Insegna che quando si ha un potere bisogna rispondere sempre a Qualcuno o Qualcosa più grande di sé. Insegna che sopratutto e prima di tutto c’è Qualcuno sopra di noi a cui dobbiamo rendere conto. Insegna che bisogna essere autentici, cioè dire e fare la verità. E solo che dice e fa la verità ha coscienza di quanto debba rendere conto del suo potere. E cio vale per i piccoli o grandi poteri che ognuno di noi ha nella vita (familiare, sociale, professionale, ecclesiale, politica ecc.).
Infatti chi detiene un potere, o lo ha ricevuto, o se lo è conquistato. In ogni caso, il potere “gli proviene da altro”, che può essere un’altra persona, la tradizione, la legge, il carisma personale o, per i credenti, la persona divina. E, alla fonte del suo potere, deve rendere conto: sempre, comunque, in itinere e alla fine del suo mandato. Altrimenti si ammala di populismo, sovranismo e correlati vari.
Tutto ciò ci rimanda all’esigenza di una permanente formazione antropologica, etica e tecnica che deve accompagnare qualsiasi percorso, laico o religioso che sia di selezione e preparazione della nuova classe dirigente. Altrimenti la crisi di leadership non risolverà mai.
«Giulio: “Cos’è quest’intoppo? La porta non si apre? La serratura, suppongo, è stata o cambiata o certo guastata”». Inizia così un libretto sagace e ricco di humour, pubblicato nel 1514: l’autore Erasmo da Rotterdam, dopo la morte di papa Giulio II, immagina il dialogo del papa con san Pietro. Trama: il Custode del Cielo rifiuta l’ingresso al papa; motivo: non ne è degno. San Pietro ricorda che sono le opere buone e giuste il lasciapassare, Giulio II pensa di «meritare riconoscenza» per come ha guidato la Chiesa, san Pietro gli ricorda che non si è mai voluto «privare del denaro, spogliarsi del comando, togliere la possibilità di prestiti, negare i piaceri» e quindi niente Paradiso, Giulio è escluso dal Cielo (così il titolo del libretto: Iulius exclusus e coelis). Pericoloso il potere, per tutti, ecclesiastici e non. Dio ci ripaga in Cielo (e, spesso, anche in terra) per tutti i peccati alla Giulio II: «Non mi meraviglio in verità - sono le ultime parole di san Pietro - se arrivano quassù in numero così esiguo, dal momento che ai posti di comando della Chiesa - diremmo noi: e anche del mondo - siedono simili sciagurati…».
Rocco D’ambrosio